Ingrid e Martha erano amiche intime da giovani, lavoravano insieme alla stessa rivista. Dopo anni di silenzio, si riuniscono in una situazione estrema ma stranamente dolce. Quando Pedro Almodóvar ha inviato la sceneggiatura a Tilda Swinton, le ha chiesto chi avrebbe dovuto interpretare Ingrid. Avevano entrambe in mente Julianne Moore.. Apparso in The 7PM Project: Episodio 8 settembre 2024 (2024). Mi chiedevo cosa avrebbe fatto diversamente Pedro Almodóvar nel suo primo film non spagnolo, costruito attorno a due degli attori più talentuosi del nostro tempo. La risposta, purtroppo: è deludente. Ci sono molti modi in cui “The Room Next Door” manca di ciò che rende il lavoro di Almodóvar così distintivo: la spontaneità, il senso dell’improvvisazione, i tempi comici, il lavoro d’insieme brillante, ma il difetto principale di questo film, a mio avviso, è che è semplicemente riscritto, qualcosa che è raro nei suoi lavori precedenti. La sceneggiatura (da lui scritta) è stata adattata da un romanzo di Sigrid Nunez, che non ho letto, ma sembra che ne siano state letteralmente strappate ampie porzioni di dialogo, molte delle quali pesanti e forzate, il che rallenta e svuota un film in cui il lavoro di Almodóvar è solitamente caratterizzato da dialoghi concisi e da un frenetico movimento in avanti che ti immerge nel mondo dei personaggi con poca esposizione: come spettatore, sei lì, appeso con l’anima, cercando di capire relazioni e contesto sociale man mano che procedi, afferrando ciò che puoi. Anche nei film che trattano temi oscuri (“Dolor y gloria” o “La mala educación”), l’azione e i suoi sfondi si svolgono in modo avvincente (anche se sono davvero folli se ci si ferma a pensarci) che attinge alla nostra intuizione ed empatia e si affida solo marginalmente a una narrazione espositiva estesa. il contrario: i personaggi parlano e spiegano all’infinito, con qualche imbarazzante flashback per fornire contesto. Poco è lasciato alla nostra immaginazione. Mentre ci sono alcuni dei soliti tratti distintivi di Almodóvar, in particolare nell’uso magnifico di colori ricchi e sapientemente abbinati e nel gusto di molti set e costumi (qui con una serie di splendide nature morte di fiori e frutta), questi sono ridotti a oggetti di scena: non servono a raccontare la storia e non ti costringono ad accettare la realtà dei suoi mondi visivi selvaggiamente artificiali come fanno nella maggior parte dei suoi film. E gli sfondi di New York generati al computer sembrano completamente artificiali, e quindi perdono il loro significato. I film di Almodóvar hanno certamente delle trame, spesso piuttosto contorte (il che è parte del divertimento), ma non sembrano averne una, anche se ce l’hanno. “The Room Next Door”, d’altra parte, è tutto incentrato sulla trama ed è più debole per questo. Con talenti come Tilda Swinton e Julianne Moore (oltre all’apprezzato John Turturro) davanti alla telecamera, ci sono alcuni momenti grandiosi, spesso profondamente commoventi: come potrebbero non essercene, soprattutto considerando la premessa centrale della trama e il modo in cui rafforza e mette a dura prova un’amicizia di lunga data e stretta nei suoi ultimi giorni? Ma la verbosità della sceneggiatura mina in particolare Swinton. Il suo incredibile potere risiede nella sua presenza potente ed enigmatica e nel suo eufemismo. Nel mio test non scientifico, pronuncia qui tanti dialoghi quanti ne ha pronunciati nei suoi ultimi tre o quattro film (cioè quelli che ho visto), messi insieme. Pensate alle sue straordinarie interpretazioni in un altro film relativamente recente su una relazione tesa tra due donne, “The Eternal Daughter” (2022), in cui interpreta sia una madre anziana che la figlia di mezza età con un’intensità schiacciante. La relazione tra queste due è delicata, commovente, complessa, ricca e accattivante, eppure così poco si basa su dialoghi espliciti.
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